Il nuovo monitoraggio trimestrale dedicato ai trend demografici e alle performance economiche delle startup innovative, frutto della collaborazione tra il MIMIT (Direzione Generale per la Politica Industriale, l’Innovazione e le PMI), InfoCamere, Unioncamere e Mediocredito Centrale, ci offre dati e spunti interessanti in merito allo stato di salute dell’innovazione in Italia ed in particolare nel Mezzogiorno.

Ecco un’attenta analisi di Gianluca Abbruzzese, imprenditore digitale di startup innovative e giornalista, sempre attivo nel suo campo con attività ed eventi per promuovere l’innovazione all’interno delle organizzazioni. Buona lettura.

Cos'è l'innovazione digitale e dove cresce di più

L'innovazione digitale è l'insieme dei cambiamenti tecnologici, organizzativi, culturali e sociali che migliorano la nostra vita. Osserviamo, dai dati in nostro possesso, dove sta crescendo nel nostro paese.

In Italia, al termine del 3° trimestre 2022, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 14.708, in aumento di 87 unità (+0,6%) rispetto al trimestre precedente, dove le startup innovative con una prevalenza femminile raggiungono il 13,6% del totale ( inferiore al 20,6% delle neo-società di capitali) e quella a prevalenza under 35 sono 2.636, il 17,9% del totale (rispetto alle nuove aziende non innovative che è del 14,5%). 

Tra le Regioni più “innovative” in testa Lombardia con 3.933 startup costituite, pari al 26,7% del totale nazionale,  Lazio (1.790) 12,2%, Campania con 1.392 startup (9,5%), l’Emilia-Romagna con 1.093 startup (7,4%). Milano, la provincia migliore, con 2.787, quasi il 19% del totale nazionale. Al secondo posto Roma (1.619 startup, 11% nazionale), Napoli (705, 4,8%), Torino (547, 3,7%) e Bari (375, 2,5%). Totale Mezzogiorno: 3.294 con Campania (1.392), Sicilia (700) e Puglia (698) in testa.

Sotto il profilo occupazionale, il valore medio è di 3,7 addetti per startup innovative, e un valore mediano di 2 addetti. Il valore della produzione medio per impresa nell’esercizio 2021 risulta pari a poco più di 211,9 mila euro, (circa 47 mila euro in più rispetto al 2020).  

Quanto siamo digitali, ovvero a che punto è l’innovazione

Nascono nuove startup ma in contesti poco digitali. Infatti, i dati forniti dall’ultimo Rapporto DESI 2022, nell'indice di digitalizzazione dell'economia e della società sono poco rassicuranti nei confronti delle imprese italiane con l'Italia al 18º posto fra i 27 Stati membri dell'UE per livello di digitalizzazione. Dato ancor più preoccupante per quanto riguarda il capitale umano: qui siamo al 25º posto su 27 paesi dell'UE, con solo il 46 % delle persone in possesso di competenze digitali di base (media UE pari al 54 %).  I divari maggiori si riscontrano, a scapito delle PMI (imprese con 10-249 addetti), nella presenza di specialisti ICT, nella decisione di investire in formazione ICT, nelle vendite online, nell’uso di strumenti ad alto contenuto innovativo. Un dato su tutti, l’utilizzo di intelligenza artificiale nelle imprese italiane poco sopra il 5%.

L’assenza di una strategia all’innovazione impedisce alle tecnologie di incidere realmente nella vita delle persone. Per questo motivo, lo sviluppo delle competenze digitali rappresenta una priorità massima per la crescita del Mezzogiorno e dell’Italia in generale. Creare un contesto in cui l’uso del digitale non si limiti alla creazione di nuovi prodotti e processi innovativi all’interno delle organizzazioni, ma diventi strumento a disposizione di tutti per attività quotidiane e per ogni tipo di interazione (azienda - persone, persone - persone, azienda - azienda, intelligenza artificiale - persone..etc),  è l’unico modo per generare un reale impatto nella comunità di riferimento.

Dove sono i talenti?

Con uno sguardo sempre ai dati, ben il 53% delle neonate startup innovative si concentra nella produzione di software, consulenza informatica e ricerca scientifica e sviluppo. Pertanto per loro e per tutte le organizzazioni votate all’innovazione, dove la componente tecnologica rappresenta oggi il minimo comune denominatore, la ricerca e l’acquisizione di talenti è il nodo più complesso da sciogliere.

Un colloquio di lavoro

In Italia e nel Mezzogiorno in misura maggiore, stiamo assistendo ad un impietoso mismatch tra domanda ed offerta di talenti ICT,  sviluppatori in testa, il che si sta rivelando un' importante barriera che condiziona la crescita di tante startup e PMI innovative.

Secondo Eurostat, infatti, in Italia gli specialisti ICT rappresentano 3,8% dell'occupazione totale, confermata dai dati condivisi di Codemotion che raccontano di 1 milione di posti lavoro vacanti nel settore tech con le grandi aziende informatiche pronte a cannibalizzare i pochi developers in giro con stipendi altissimi anche per figure junior. Dura vita, dunque, per startup e piccole organizzazioni impossibilitate a competere con tariffe e condizioni di lavoro appetibili per talenti in cerca nuove sfide nell'epoca delle “grandi dimissioni".  

Sul fronte universitario, nell’indice Desi 2021,  la percentuale di laureati italiani in corsi di materie collegate a informatica, elettronica, telecomunicazioni è la più bassa tra tutti i paesi EU-27.  Poco meno di 5.000 laureati nel 2020, l’1,3% del totale dei laureati contro una media europea del 3,8%.  Se allarghiamo lo sguardo alle materie Stem nel loro insieme, i dati del ministero dell’Università e della Ricerca riportano che i laureati in questi campi nel 2020 sono il 27% rispetto al totale delle lauree rilasciate in Italia.  

Buone notizie però sul possibile ritorno a casa dei talenti di “vecchia generazione". Se nel periodo 2012-2018, 132 mila laureati sono partiti dal Mezzogiorno (fonte Intesa Sanpaolo) con il diffondersi dello smart working e della ricerca di un nuovo equilibrio lavoro/vita privata,  si potrà assistere ad un ritorno a casa di tanti professionisti andati a cercar fortuna fuori a lavorare per per le Big tech e per grandi aziende innovative in Europa e nel mondo.  Il Sud Italia con un’alta qualità della vita e costi molto competitivi si candida ad accoglierli, a patto però che possano proliferare i luoghi e le infrastrutture (spazi di lavoro, banda larga, tecnologie, luoghi di networking) necessarie a garantire buoni standard qualitativi.

Ecosistemi di innovazione prosperano dove fioriscono determinati comportamenti culturali  

Proviamo ad unire i puntini di questo piccolo scenario che i numeri ci descrivono. Emerge la necessità, soprattutto nel Mezzogiorno, di una sfida complessa: un cambio di paradigma culturale ancor prima che tecnologico, tante volte annunciato, ben raccontato, ma mai realizzato del tutto.  

Lontani dal modello ‘a tripla elica’ cinese, in cui l’innovazione top-down che nasce dall’ibridazione tra università, aziende e governo, è resa possibile da contesti e “condizioni politiche” radicalmente diversi dalle nostre, la sfida per un SUD che vuole  trasformarsi da spazio di opportunità a luogo di innovazione, è affidarsi ad una rivoluzione culturale che parta dal basso, dai talenti ed all’interno delle piccole organizzazioni. 

Imparare a gestire se stesso è la chiave per il cambiamento che, come suggerisce, in “Managing Oneself" di Peter Drucker, per performare bene dobbiamo partire dai nostri punti di forza, dai nostri valori, dal contributo unico che ognuno può offrire.

All’interno del proprio team, della propria organizzazione significa riconoscere il valore della responsabilità, abbandonare la logica dell'approssimazione per far posto alla sperimentazione. Una cultura nuova basata sull’accettazione del rischio, su esperimenti e feedback rapidi, nel riconoscere la consapevolezza dei limiti attraverso la ricerca costante di verifiche e non conferme, significa costruire fiducia con relazioni di qualità al di fuori dei confini familiari della propria organizzazione, significa riconoscere integrare il valore della diversità. 

Non solo talenti ed aziende. Transizione ecologica, digitale e socio economica sono le sfide al centro delle agende di governo di tutta Europa e tutti gli attori sono chiamati a rivedere il proprio ruolo in un contesto più ampio. Per chi ha la responsabilità di educare, è opportuno rivedere i modelli formativi alla luce delle nuove competenze da formare (i quadri europei e i dati Cedefop rappresentano un enorme punto di partenza). Per chi è classe dirigente, significa mettere in campo una capacità ed un modello progettuale nuovo che, accanto alla leva economica di incentivi ed agevolazioni, possa creare le condizioni reali per la crescita e la realizzazione di un business sostenibile. Non solo favorire una maggiore integrazione e collaborazione tra individui, aziende, università abbandonando la logica di distribuzione centralizzata di ricchezza e potere, bensì abbracciare, invece, una progettualità misurata sull’impatto generato, unico modo per costruire e distribuire reale valore tra tutti gli attori in campo.

Scrollarsi di dosso vincoli, limiti e modelli che non ci appartengono più. Non saremo mai una Silicon Valley, la “rainforest” di  tecnologia, finanza e scienza, ma siamo il Mediterraneo e rappresentiamo da secoli quel luogo in cui la relazione con la complessità è familiare, la diversità è un valore, in cui le competenze trasversali per innovare (pensiero laterale, pensiero sistemico, intelligenza emotiva, adattabilità e flessibilità, intelligenza culturale…) sono già in gran parte presenti nella nostra cassetta degli attrezzi. 

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