La scorsa estate ero in una piccola località siciliana bagnata dal mare. Era una domenica, intorno a mezzogiorno, quando mi sono resa conto di essere l'unica femmina seduta in quel bar e poi di essere l'unica femmina nell'intera piazza. Non c'era nemmeno una donna anziana, non c'era nemmeno una bambina. Ho guardato l'amico che era seduto con me, e gli ho detto “lo vedi? È domenica e le femmine sono tutte in casa, presumibilmente a preparare il pasto più sacro della settimana, mentre le piccole osservano e imparano qual è il loro posto nel mondo”. “Seee dai”, mi fa lui. Però poi si è spinto con lo sguardo fino alla fine dei vicoli che si aprivano dalla piazza e in effetti non c'era neanche una femmina.

Neanche per sbaglio. In compenso, maschi di ogni età occupavano lo spazio, ogni spazio: signori di mezza età con caffè e birre al bar, adolescenti sulle panchine all'ombra ridevano delle goliardate estive, bambini giocavano a rincorrersi sotto il sole e perfino vecchi, vecchissimi signori che stavano per miracolo dritti su ginocchia fragili e consumate, non rinunciavano all'ora d'aria domenicale. Mentre tutto mi sembrava troppo opprimente per essere reale, quattro signore che non dovevano più compiere i 75 anni sono sbucate all'improvviso da dietro un'angolo, imbolsite dall'età, capelli corti. Ridevano. Si sono fatte largo tra i tavolini senza guardare né salutare nessuno dei presenti, silenziati dal loro arrivo. Si sono accomodate, hanno ordinato dio sa cosa, hanno tirato fuori un mazzo di carte e così, passata la mezza, si sono messe a giocare a poker. Non avevano in previsione di alzarsi, non avevano orari, obblighi, ruoli. Gli uomini intorno le guardavano di sottecchi, incuriositi dalla loro allegria, dalla loro libertà.

È passato qualche istante prima che tornassero a parlare tra loro di boh, calcio. Ma non era la loro presenza, in assoluto, a essere oggetto di pensieri e forse biasimo: era il fatto che non fossero dolenti, né indaffarate in faccende da femmina o impegnate nelle tipiche conversazioni da moglie ovvero ricette e soluzioni fai da te per smacchiare le camicie. Il mio amico mi fa, sottovoce, “Vedi loro almeno si sono sottratte ai doveri”. La mia replica, secca, è stata “non hanno alcun dovere, sono vedove”. E infatti lo erano.

In quella borgata piena di sole e gerani c'erano stati quattro degni funerali che hanno permesso a quattro persone di cambiare prospettiva, di rielaborare la propria presenza nello spazio pubblico e in quello privato. Quattro funerali che sono stati anche quattro battesimi a nuova vita. Avranno sofferto per la morte dei loro mariti? Probabilmente. Di certo però quella domenica erano, o almeno sembravano, leggere e alleggerite. Avevano fatto switch, iniziato a vivere un'altra storia in cui stavolta le protagoniste erano loro e non loro in relazione a qualcuno. Che è quello che fa Luana Rondinelli nel suo “Fimmine”, lo switch.

Fimmine: Luana Rondinelli porta il teatro in libreria

Luana Rondinelli sposta il punto di osservazione raccontando quattro storie dalla prospettiva di chi fino a quel momento è stata attrice non protagonista e che ora invece era al centro. Si era messa, al centro o c'è capitata. O almeno l'ha fatto capitare l'autrice. In particolare attraversa il tema delle aspettative che investono le femmine, a cominciare dall'aspettativa che investe una vedova, nel primo racconto. “Ti devi mettere la faccia dell'occasione”, le suggeriscono le sorelle. Il paese sta arrivando a farle visita ma la sua espressione stona con l'abbigliamento da veglia che indossa, “devi soffrire”. Cosa siamo se smettiamo di essere figlie, fidanzate, mogli, madri? Penelope rifiuta il ruolo di paziente e dolente femmina in attesa di entrare nella parte, Giacomina si imbizzarrisce ma le corde dell'ipocrisia non le permettono di galoppare via, Innocenza esplode nel corpo di Vincenzo e afferma sé stessa.

Luana Rondinelli indaga nell'irrequietezza personale di donne la cui posizione nel mondo è stata stabilita con ferocia da persone terze e tradizioni violente. E lo fa spingendosi oltre il racconto, “Fimmine” è una scalata femminista, ripida e materica su quattro testi teatrali che potrebbero essere i copioni della vita di tutte noi, se solo tutte avessimo l'occasione di rinascere, la volontà per farlo, la fortuna di capire che occorre farlo. E per rinascere a volte serve un degno funerale, fosse anche di una tradizione, fosse anche di quella parte di noi che non ci somiglia più.

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