Negli ultimi anni la meteomania è dilagata anche in ItaliaUn tempo la passione per la meteorologia era appannaggio quasi esclusivo degli inglesi. Prevedevano, ipotizzavano, sentenziavano, scommettevano sterline su sterline – e lo fanno ancora – sulle evoluzioni del clima.
Comprensibile, in una nazione afflitta dalla pioggia quasi costante, incupita da un cielo grigio pressoché perenne e caratterizzata da estati che hanno sempre avuto poca affinità con caldo e sole.

Basta guardare qualche immagine delle presunte belle stagioni di Brighton, una meta classica delle gite scolastiche italiane, per capire quanto l’estate britannica sia lontana dalla realtà mediterranea. E quanto nella terra di Albione si sia sempre sperato in qualche sorpresa riservata dal clima, restando puntualmente delusi.

Negli ultimi anni, sulla scorta della vecchia Inghilterra, la meteomania è dilagata anche in Italia. I primi segnali di un’attenzione crescente sono saltati fuori dai telegiornali. Le notizie sul tempo, prima relegate a brevi parentesi all’interno dei notiziari o a margine degli stessi, si sono via via ritagliate spazi maggiori, all’inizio con ampliamenti dell’intervento dei meteorologi classici, in divisa dell’aeronautica come nella tv del passato, e poi con intere rubriche condotte da “meteorine” e “meteorini” di bell’aspetto, pronti a infiocchettare le notizie buone e cattive e ad attrarre un pubblico sempre più numeroso e variegato.

Forse in ragione delle continue mutazioni del tempo, delle catastrofi naturali, delle mareggiate violente ribattezzate tsunami, degli uragani dai nomi di donna, delle insolite nevicate sul livello del mare, l’attenzione per il clima e per le sue manifestazioni, normali o estreme, è cresciuta a dismisura. Ormai si discute del meteo in ogni programma televisivo, tg a parte. Se ne parla in fascia mattutina, nei “contenitori” pomeridiani e nelle trasmissioni del fine settimana.

Anche alcune trasmissioni di approfondimento culturale e politico riservano grande attenzione ai temi del meteo, come è chiaro  sin dal titolo, per esempio, nel caso di “Che tempo che fa”, appuntamento del weekend condotto da Fabio Fazio nel corso del quale l’esperto Luca Mercalli svela i segreti climatici con un taglio molto personale.

Anche il Tg1 della Rai si è adeguato, alternando quotidianamente due giornalisti, un uomo e una donna, nel confezionamento di un siparietto di previsioni meteorologiche, condito pure di servizi sulle condizioni climatiche e di viabilità di zone specifiche del territorio nazionale. Inoltre, in un programma pomeridiano Barbara D’Urso, su Canale 5, in un recente passato ha abbracciato la meteo-moda facendo assurgere addirittura al ruolo di star un esperto del centro Epson Meteo, Paolo Corazzon, diventato poi animatore di collegamenti esterni con la trasmissione, a tema climatico-ludico.

Sempre sulle reti Mediaset, molta notorietà l’hanno guadagnata i Giuliacci, Mario e Andrea, padre e figlio, apparsi in vari programmi oltre a quello tradizionalmente dedicato alle previsioni. Nemmeno i canali satellitari sono rimasti indifferenti a questa passione per il meteo, mandando in onda trasmissioni quotidiane finalizzate a fornire previsioni regione per regione e città per città, continuamente aggiornate.

E non è stata solo la televisione a captare i meteo-desideri del pubblico e ad adeguare l’offerta di informazioni alla pubblica domanda. Lo ha fatto anche il web, con siti di previsioni in tempo reale, forum di discussione, blog di approfondimento scientifico e pagine a tema sui social network.

Cosa abbia scatenato la meteomania in Italia non è dato saperlo. D’altronde non è mai facile individuare l’origine di una moda. E la fissazione per il meteo lo è. Forse ci si illude di poter organizzare meglio la propria esistenza in virtù delle condizioni ambientali: programmare una gita fuori porta, pianificare una vacanza in barca, prevenire/curare la meteoropatia, oppure, banalmente, capire se stendere il bucato all’aperto o al chiuso.

A questo si aggiunge il peso più significativo e importante che il meteo ha sulle attività produttive (agricoltura, pesca ecc.), così come sulla viabilità e sul rischio frane ed esondazioni. Riuscire a prevedere alluvioni, nevicate, mareggiate e trombe d’aria può fare una sostanziale differenza per la popolazione tra l’essere avvertita in tempo utile dalle autorità competenti dell’arrivo di un violento fenomeno climatico e poterlo scampare – mettendo in sicurezza cose e persone – e l’essere travolta da una catastrofe inattesa o non correttamente annunciata nella sua pericolosità.

Eppure il clima, che è storicamente protagonista delle frasi fatte più utilizzate dagli italiani – “non ci sono più le mezze stagioni” ne è un esempio classico – e dei discorsi banali da bar o da ascensore, sfugge sovente a qualunque previsione, forse anche per le mutate condizioni ambientali del globo. Se ne discuta pure, quindi, ci si interessi, ci si informi e ci si diverta, ma ci si arrenda all’idea che in molti casi anche i massimi esperti in materia sono costretti ad allargare le braccia di fronte all’imprevedibilità della natura e al dilemma sul tempo che farà.

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