Una competizione a tutto campo. E’ quella fra Netflix e le piattaforme di streaming video lanciate da grandi player dei media (come Disney+) e della tecnologia (Apple TV+), che stanno obbligando tutti gli operatori dell’audiovisivo a rivedere le proprie strategie. E se Disney+ ha superato all’inizio di febbraio  28 milioni di abbonati, nei prossimi mesi arriveranno Peacock (Comcast) e HBO Max (AT&T), mentre Netflix, il leader del settore, è vicino ai 160 milioni di abbonati in tutto il mondo.
 
Cosa succederà? Come cambieranno le strategie dei maggiori operatori dell’audiovisivo? E le abitudini di visione del pubblico? Questi temi vengono affrontati nel libro di Ester Corvi “Streaming Revolution” , che contiene case history e interviste ad esperti di innovazione e tecnologia, senza trascurare il quadro normativo e le complesse questioni dibattute in tema di tutela dei consumatori e delle produzioni europee, di diritto d’autore e sfruttamento illegale dei contenuti, che vengono descritte da Paola Nebbia.
 
Nell'epoca della “tv in tasca” il tema dominante è quello dell’innovazione, che non riguarda solo la tecnologia, ma si esprime anche nei contenuti e nei linguaggi delle serie tv (sebbene il termine tv sia fuorviante) che hanno portato il pubblico a sperimentare modalità diverse di visione dei contenuti stessi (on demand e su dispositivi mobili), accelerando quella convergenza fra tv e cinema che va a vantaggio di alcuni operatori, ma che crea indubbie difficoltà per altri, costringendoli a riposizionarsi sul mercato.
 
Basti pensare all'approccio all'audiovisivo della “generazione Netflix” (che non comprende solo la popolazione giovane, ma anche altre fasce di età): adesso è il cinema che “va” dal suo pubblico, che ne fruisce dove, quando e come vuole. In sintesi, a un mondo “lineare”, costituito da palinsesti ancorati alle fasce orarie di programmazione, si preferisce un mondo on demand, nel quale l’accesso è “a tutto e subito”, attingendo poiché si può attingere a prodotti audiovisivi disponibili su scaffali virtuali potenzialmente illimitati.
 
Per la pay tv la sfida al cambiamento è grande, così come per l’industria cinematografica che, vedendo intaccata la catena del valore, è costretta a scendere in campo direttamente, come Disney+ dimostra, o ad adottare nuove strategie, stringendo accordi o sperimentando alleanze inedite.
 
Mai come in passato la user experience, cioè l’esperienza di utilizzo dei consumatori, è centrale per conquistare il pubblico che, nel frattempo, ha alzato l’asticella delle proprie aspettative qualitative, data la grande disponibilità e varietà di contenuti a cui può accedere. Serie come Games of Thrones, Black Mirror, La Casa di Carta, Stranger Things hanno richiesto ingenti investimenti, ma hanno riscosso un successo globale superiore alle aspettative. Le diverse piattaforme, a loro volta, utilizzano tecnologie sempre più avanzate e basate sulla intelligenza artificiale, per conoscere al meglio gli utenti, fornire loro consigli personalizzati (recommendation) e tracciarli nelle loro esperienze di visione.

Governare questa rivoluzione nell’industria audiovisiva, che aveva già mostrato i suoi effetti qualche anno prima nel settore musicale, non è un compito facile né per le imprese, né per i consumatori e nemmeno per i legislatori. Netflix è un caso molto interessante, perché la trasformazione del business di cui è artefice rientra nel più ampio concetto di subscription economy, cioè l’economia in cui i consumatori, al posto di voler possedere i prodotti, preferiscono abbonarsi ai servizi. Oltre al gruppo californiano, società come Spotify, Lynda, Cortilia e Amazon Prime sono le avanguardie di questo nuovo ecosistema, che travalica i confini dell’audiovisivo per porre questioni che diventano rilevanti per molti altri settori industriali, proponendo nuovi processi e modalità di interazione con gli utenti.
 
Rispetto al passato, Netflix e le altre maggiori piattaforme SVOD, a differenza della tv tradizionale, non devono creare contenuti che piacciano agli inserzionisti, ma al loro pubblico potenziale. Un’audience che non è nazionale, ma globale, ben predisposta a vedere i film o le serie in lingua originale, propensa a consumare più puntate di una serie in una volta sola (binge watching) e a commentarle in un flusso continuo sui social media. Per creare nuovi contenuti di successo servono però i talenti, dietro e davanti la macchina da presa. Negli ultimi due anni i più famosi showrunner (i responsabili di tutti gli aspetti creativi delle serie tv) sono stati contesi dalle maggiori piattaforme di streaming video. E, sebbene non sia ancora personalizzato a livello individuale, il contenuto video è nei media probabilmente più vicino del consumatore rispetto a quanto lo sia in altri settori. Ci stiamo avvicinando, infatti, a un mondo in cui la vasta gamma di gusti viene soddisfatta da una gamma altrettanto ampia di contenuti di alto valore.

 Tutto questo non sarebbe stato possibile se non ci fossero state le piattaforme OTT, cioè le Over The Top che, distribuendo i contenuti tramite la rete, hanno cambiato le regole del gioco, con effetti disruptive (dirompenti). Per dare un’idea delle dimensioni del mercato, il fatturato globale dei video OTT, secondo le stime di PWC2, supera i 45 miliardi di dollari a fine 2019, ed è dunque più che triplicato dai 12,5 miliardi del 2014, con i principali mercati rappresentati da Stati Uniti, Cina e Giappone. «La tecnologia oggi permette di creare ecosistemi complessi, che hanno la capacità di generare grandi profitti.
 
La premessa fondamentale naturalmente per l’emergere di questi ecosistemi è la disponibilità universale di collegamenti a banda larga. Realizzare hardware, interfacce di facile utilizzo e contenuti completa questo quadro. Ogni grande società tecnologica si adopera per conquistare una base fedele di utilizzatori. I sistemi sono sufficientemente aperti perché il passaggio da uno all'altro sia snello. Questo quindi genera competizione, che a sua volta porta alla creazione di un’offerta di contenuti sempre maggiore», spiega David Orban, fondatore e managing partner di Network Society Ventures, nell’intervista contenuta nel libro. E proprio alla competizione fra i principali player dello streaming video cinesi, come iQIYI (che fa parte del gruppo Baidu), Tencent Video (Tencent) e Youku (Alibaba) è dedicato un capitolo di questo libro, che si interroga anche su quali siano le possibilità di integrazione fra streaming video e gaming, oltre alle potenzialità della realtà virtuale e delle criptovalute (blockchain) ancora da esplorare.

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