Il ponte in muratura è una struttura che appartiene alla tecnologia del passato e che non può essere riproposto oggi per gli elevati costi richiesti per la sua realizzazione. Negli anni ’20 – ’30 del secolo scorso si sono costruiti gli ultimi ponti in muratura; da quel momento l’attenzione per questo tipo di struttura scompare e viene sostituito dallo studio della ben più promettenti strutture in cemento armato: da questo momento inizia una sorta di oblio del ponte in muratura, dimenticato non solo nella pratica ingegneristica corrente ma anche nei corsi universitari, quasi fosse un retaggio del passato di cui sbarazzarsi il prima possibile.


Questo oblio è però durato troppo tempo, perché ha consentito che la comune cultura ingegneristica dimenticasse i ponti in muratura, le procedure costruttive, i materiali impiegati, le motivazioni di certe soluzioni strutturali piuttosto che altre. Si pensi, ad esempio, alle pile dei ponti: nessun manuale storico descrive nel dettaglio la tecnica di costruzione, probabilmente perché le procedure erano ben codificate nella pratica corrente, ma oggi questa codifica si è persa e non si conosce quasi nulla di questo elemento strutturale essenziale per la sopravvivenza del ponte.


In questo post vengono descritte le tecniche costruttive e le regole dell’arte nella costruzione dei ponti ad arco in muratura, così come sono state ricostruite dei manuali di tecnologia del secolo scorso, iniziando dalla fondamentale opera di Curioni fino ad arrivare ai più recenti, ed ultimi, manuali di Campanella e Baggi. Tuttavia questi manuali lasciano vaste zone d’ombra, non solo nelle pile, ma anche nella struttura delle spalle, nei metodi di verifica della resistenza dei materiali, nei materiali impiegati per gli elementi secondari quali riempimento e rinfianchi che sono state parzialmente integrate con le informazioni dedotte sul campo, dalla memoria storica di chi ancora deve eseguire manutenzione ai ponti ferroviari e da immagini fotografiche di vecchie strutture crollate o demolite.

Fondazioni

Le fondazioni dei ponti in muratura sono simili a quelle dei ponti moderni nell’essenza strutturale dell’opera, essenzialmente diverse nelle tecnologie e nei materiali impiegati. Sinteticamente anche nei ponti in muratura si riconoscono tre tipi di fondazioni:

  • la fondazione profonda su pali
  • la fondazione superficiale o semi – profonda su pozzo
  • la fondazione a platea.


L’utilizzo di pali in legno nelle fondazioni è una tecnica che risale ai tempi dei Romani. Il diametro utilizzato per questo tipo di pali varia da 20 a 35 cm, le dimensioni di un tronco d’albero facilmente trasportabile, per una lunghezza che raramente supera i 10 metri, vista la difficoltà d’infissione. Fino al XVIII secolo le teste dei pali venivano generalmente tagliate al livello della minima piena semplicemente per motivi di tipo esecutivo, e al di sopra delle teste veniva realizzata la pila in muratura. Gli inconvenienti di questo procedimento sono evidenti.

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Nelle opere più antiche (Ministere des Transports, 1980), i pali erano battuti all’interno di un grigliato di travi lignee a sostegno della pila, in alcuni casi senza un plinto di collegamento intermedio (figura 1). In epoca successiva i pali vennero disposti secondo maglie più regolari, a distanze variabili tra 0,8 e 1,5 metri e collegati, dopo il taglio, per mezzo di un grigliato in legno destinato a ripartire il carico verticale; si osserva un avvicinamento ai moderni criteri di progettazione delle fondazioni indirette. Per bloccare la testa dei pali, prima di porre in opera il tavolato in legno, veniva disposto un riempimento in pietra tenera e malta, per uno spessore pari alla parte libera (figura 2), quasi a formare una sorta di pozzo di fondazione a posteriori.

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Solo nel 1762 De Cessart mise a punto un sistema che consentisse di tagliare i pali a oltre 5 metri sotto il livello dell’acqua.

Le nuove tecniche e lo sviluppo dei mezzi di pompaggio permisero di stabilire la base della pila ad alcuni metri sotto il livello dei fiumi. Inizialmente, quando la profondità del fiume era notevole, l’unico modo per realizzare fondazioni sufficientemente profonde era la costruzione di argini che deviassero temporaneamente il corso del fiume per poter lavorare a “secco”, anticipando certe procedure di scavo mediante palancole del giorno d’oggi. Verso la fine del XVIII secolo questa tecnica viene sostituita da quella del cassone affondato, più economica, veloce e per questo meno soggetta al pericolo di eventuali piene improvvise. Il cassone (figura 3) veniva assemblato a riva, riempito nella parte inferiore con 3 o 4 corsi di muratura a formare la base dello “scafo” e affondato in corrispondenza della pila.

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La costruzione della muratura procedeva dentro al cassone fino al livello dell’acqua; successivamente il cassone veniva smontato e riutilizzato per le altre pile.

Nel XIX secolo vennero sviluppate tecniche diverse che impiegavano il nuovo materiale che stava acquistando sempre maggiore importanza nell’industria delle costruzioni: il calcestruzzo. L’ancoraggio dei pali inizia a essere realizzato mediante un grosso blocco di calcestruzzo (figura 4) consentendo l’abbandono del grigliato in travi di legno. Per evitare il dilavamento del calcestruzzo veniva realizzata una cortina di palancole in legno a corona dell’area di getto.

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Fondazioni superficiali
si trovano pressoché solo quando il substrato roccioso si trova a breve distanza dal piano di campagna. Per le opere di maggior rilievo, la fondazione della pila era realizzata mediante un allargamento, ottenuto aumentando la pendenza dei paramenti delle pile o tramite una successione di riseghe, fino a formare una sorta di plinto di fondazione. Spesso queste fondazioni venivano realizzate con blocchi lapidei di grandi dimensioni per garantire la necessaria rigidezza della struttura fondale, figura 7.

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Nei casi in cui era possibile dragare il fondo del corso d’acqua fino al substrato roccioso, si faceva ricorso a cassoni privi di chiusura inferiore che venivano affondati sul piano di fondazione creato con il drenaggio. L’impermeabilità delle pareti laterali del cassone era garantita da tela impermeabile incollata esternamente al cassone; la base era costituita da un sacco impermeabile riempito di argilla che consentiva al cassone di adattarsi alle asperità del fondo. In tal modo era possibile realizzare la base della pila in calcestruzzo gettato a secco all’interno del cassone, figura 8.

Successivamente, la disponibilità di legnati in grado di fare presa anche sott’acqua consentirono di gettare il calcestruzzo direttamente in acqua, eliminando i problemi di instabilità del fondo in fase di costruzione e quelli relativi all’impermeabilizzazione del cassone.

cassone-senza-fondo


Spesso la struttura di fondazione veniva fortemente ingrossata nel senso della corrente del corso d’acqua per limitare il rischio di erosione della struttura fondale; l’ingrossamento alle volte è così ampio da richiedere, per contenere l’impiego di materiale, la realizzazione di camere interne al contrafforte che, per non alleggerire la struttura di fondazione, venivano anche riempite con terreno o materiale sciolto, figura 9.

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Le opere di presidio contro l’erosione della corrente furono realizzate anche mediante cortine di pali e palancole spesso solidali con la struttura fondale.

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L’efficacia di questa soluzione era comunque limitata a causa della scarsa infissione nell’alveo dei pali e palancole e per la loro scarsa rigidezza flessionale; la spinta dei blocchi di fondazione e del terreno sottostante la pila, e quindi racchiuso all’interno dei pali, determinavano uno spanciamento dell’opera di presidio che innescava un rapido processo di erosione. Meccanismi di erosione al di sotto delle pile si verificano ancora oggi con modalità analoghe anche quando s’impieghino pali moderni troppo radi a coronamento della base della pila.

La fondazione a platea è costituita da un’unica struttura fondale comune a tutte le pile e che, in corrispondenza del ponte, viene a ricoprire il fondo dell’alveo fluviale. In genere questo tipo di fondazione è stato impiegato nella realizzazione di piccole opere ad un solo arco ed è stata realizzata a profondità maggiore di 1 metro al di sotto del livello della secca. Lo spessore minimo di questo manufatto è funzione della luce del ponte, e varia tra 0,5 m per luci di 3 – 4 m e 0,8 m per luci di 10 m (Baggi, 1926). La sezione trasversale della platea, figura 10, presenta un tallone a monte ed uno a valle ed è, in genere, circondata da una paratia di pali collegati da filagne (travi orizzontali in legno di sezione di circa 12x15 cm poste in prossimità della testa dei pali e ad essi bullonate) e da tavoloni disposti verticalmente.

Spalle

Le spalle del ponte ad arco in muratura assolvono alla funzione di muro di sostegno del rilevato di accesso al ponte nonché di sostegno alla volta; sono quindi sollecitate da rilevanti sollecitazioni di presso – flessione. Le spalle sono strutture massicce, costituite in genere da un robusto piedritto nel senso della corrente del fiume simile ad una pila, con una faccia verticale o leggermente inclinata; la sezione orizzontale è rettangolare, mentre le sezioni verticali possono essere rettangolari, trapezie oppure possono presentare delle riseghe. In alcuni casi la spalla è munita di due muri di accompagnamento disposti parallelamanete all’asse stradale, che hanno funzione di contenimento del rilevato, ma possono essere considerati come contrafforti in funzione della loro dimensione in rapporto alla geometria della spalla.

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Uno dei dissesti possibili nelle spalle deriva dallo scorrimento dei giunti di malta attivato dalle forti spinte orizzontali trasmesse dall’arcata; per questo le reni degli archi, sia sulla spalla che sulla pila, non presentano giunti di malta orizzontali ma una tessitura della muratura di mattoni con giunti di malta disposti normalmente alla direzione di spinta ovvero, per strutture importanti, da blocchi di pietra opportunamente sagomanti, figure 11 e 12.

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Nei ponti di grande luce la spalla può raggiungere proporzioni ragguardevoli, con significativi problemi di maturazione della malta nello spessore delle masse murarie
(Baggi, 1926). In questi casi si ritrova sovente un vano all’interno del manufatto, coperto da una grossa volta a sesto ribassato (figura 13.a).

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La spinta dell’arco neutralizza in parte quella proveniente dall’arcata del ponte e sopperisce l’alleggerimento della spalla. I vani nascosti all’interno delle spalle vengono realizzati talvolta appositamente con l’intento di alleggerire la struttura realizzando un arco rovescio di fondazione (figura 13.b).

In molti casi i vani praticati nella spalla sono aperti, sia per permettere il passaggio di strade, tipicamente lungo gli argini di un corso d’acqua, sia per permettere, in regime di piena, un migliore deflusso delle acque; in questi casi l’arco al di sopra del vano può difficilmente essere impostato a quota sufficientemente bassa, ovvero prossimo alla prosecuzione dell’arcata, da rinforzare efficacemente la spalla. In queste condizioni, la spalla veniva alleggerita mediante vani a sezione circolare a quota elevata, al di sopra dell’arcata (ponte Annibale sul Volturno, presso Capua).

Un’altra tecnica di alleggerimento delle spalle dei ponti di grande luce è quella di munirle di contrafforti in direzione parallela all’asse del ponte. In alcuni casi le estremità dell’arco venivano prolungate entro le spalle e confinate con muratura piena ovvero lasciandovi dei vani in adiacenza, figura 1.

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Per i ponti su un alveo fluviale la necessità di deviare il flusso di piena ha condotto all’introduzione di rostri a monte e a valle delle spalle, con un allargamento in pianta delle spalle fino a larghezze decisamente maggiori di quella dell’arcata; per questo motivo la spalla può risultare più larga della sede stradale, figure 15 e 16, di una misura pari alla larghezza dei due mezzi rostri.

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Non sempre le spalle sono visibili dall’esterno. Nei cavalcavia delle trincee di linee ferroviarie le spalle possono essere interrate nel terreno della scarpata per consentire una quota di fondazione più elevata rispetto a quella di una spalla tradizionale, figura 17.

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Pile e pile - spalle

Uno degli elementi strutturali dove i ponti (a pila corta) si differenziano dai viadotti (a pila snella) è la pila; per questo verranno distinte le pile dei ponti da quelle dei viadotti.

Pile da ponte

Le pile per ponti presentano altezza moderata, minore di 12 ÷ 15 m (a partire dallo spiccato della fondazione, quindi la parte visibile può essere significativamente più corta), hanno normalmente pareti verticali anche se in alcuni casi per motivi estetici si è fatto ricorso a profili curvilinei. Se l’altezza è maggiore le pareti sono dotate di una propria scarpa, con inclinazione di 1/10 o 1/20. Tale disposizione cambia se il ponte è ferroviario e il suo tracciato planimetrico è in curva; in questo caso, in particolare, le pareti di testa (quelle di dimensione minore) vengono realizzate con due scarpe diverse, maggiore dalla parte esterna della curva (generalmente doppia di quella della parete interna e, quindi, pari a 1/5 ÷ 1/8) per equilibrare la forza centrifuga applicata sul piano stradale al passaggio dei convogli.

Anche per le pile, così come è più ancora che per le spalle, si presenta la necessità di contenere la pressione trasmessa al terreno; l’accorgimento tecnico è analogo, con inserimenti di vani vuoti per ridurre il peso proprio della struttura, figura 18.

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Lo spessore della parete della pila non è di facile determinazione in quanto dipende da un elevato numero di variabili. In genere nei ponti più antichi si trovano pile di spessore superiore a quello necessario a garantire la stabilità della struttura in quanto la necessità di ridurre la pressione sul terreno sembra essere una conoscenza ingegneristica acquisita negli ultimi due secoli.

Le pile situate nell’alveo di un corso d’acqua, generalmente disposte nel senso della corrente, presentano sia a monte sia a valle due appendici detti rostri con la funzione di modificare gradatamente la sezione dell’alveo, di deviare il materiale trasportato dal fiume e, riducendo la turbolenza della corrente, di diminuire il rischio di erosione del fondo. Usualmente la sezione orizzontale dei rostri è semicircolare di diametro pari alla larghezza della pila, un triangolo isoscele con base coincidente con la larghezza della pila, oppure formata da due archi di cerchio di ampiezza 60°, figura 19.

diverse-tipologie-di-rostriI rostri si estendono fino all’altezza di massima piena, generalmente fino alla quota d’imposta della volta, ma in alcuni casi arrivano fino al piano del ferro, dove vengono usati per ricavare piazzole per il rifugio del personale addetto alla manutenzione della linea ferroviaria. Un accorgimento simile viene adottato anche in corrispondenza della spalla, che presenta due mezzi rostri, come già discusso. I rostri sono rifiniti in sommità con cappucci in pietra da taglio.

Pila – spalla da ponte

Come già discusso poco fa, nei ponti a più arcate il collasso di una pila può provocare il collasso a catena di tutta la struttura; per evitare questa evenienza si ritrovano fra le pile snelle delle pile più tozze, dette pile – spalle, in grado di resistere alla eventuale spinta di una sola arcata non più contrastata dall’arcata crollata. La pila – spalla è spesso munita di nervature di rinforzo, anche con funzione estetica, e presenta spesso un profilo piatto nel senso della corrente; questo non si verifica quando è possibile realizzare i rostri, che divengono di dimensioni veramente significative, figura 20.

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Il numero di pile – spalle è determinato attraverso considerazioni di natura economica (Baggi, 1926).

 

Pile da viadotto

I viadotti presentano un’elevata altezza delle pile, al punto che sovente si rende necessario ridurre l’altezza libera delle pile mediante l’inserimento di un secondo ordine di arcate, il che si verifica, usualmente, quando l’altezza della pila supera i 40 m.

La scarpa delle facce di fronte (di fronte alla corrente del corso d’acqua) varia fra 1/6 ed 1/10; quella delle facce laterali varia tra 1/25 e 1/20, figura 21.

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Il paramento esterno delle pile può essere munito di contrafforti, generalmente sulle pareti di testa, e di riseghe orizzontali (figura 22). In genere le riseghe verticali vengono proseguite fino al piano del ferro o all’estradosso del parapetto.

Nei viadotti in curva delle ferrovie, per contrastare la forza centrifuga che si sviluppa al livello delle rotaie del passaggio dei convogli, nel XIX secolo i costruttori assegnavano alle facce poste dalla parte convessa una scarpa maggiore di quella che si dà alla facce situate nella parte concava, facendole passare da inclinazioni di 1/16 ÷ 1/10 a 1/8 ÷ 1/5.

Nella costruzione di viadotti in curva le due generatrici d’imposta di una stessa arcata sono parallele fra loro: le pile assumono una caratteristica sezione trapezie.

Anche le pile dei viadotti, nonostante la notevole snellezza, venivano alleggerite con vani chiusi o, raramente, accessibili, unici su tutta l’altezza o suddivisi in più camere, figura 23:

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Nei viadotti a più ordini di arcate le luci delle arcate inferiori sono limitate generalmente a 15 m; le pile sono sempre a scarpa, con inclinazione maggiore sulle facce frontali e variabili con l’altezza (diminuiscono salendo).

Fra due piani successivi le pile talvolta aumentano di larghezza mediante riseghe, la cui esistenza è denunciata sulle fronti del ponte da un modesto coronamento in pietra tagliata; frequente è anche la presenza di muratura di pietra al di sotto del primo ordine di arcate, figura 25.

Le facce che marcano le riseghe dei piedritti sono orizzontali, ma non si trovano allo stesso livello quando la strada è in pendenza, le arcate, quindi, risultano delle volte a botte con una piccola aggiunta della parte verso cui la strada discende.

L’ordine a quota inferiore generalmente costituisce un passaggio pedonale consentito da aperture realizzate nelle pile ed è, in genere, di larghezza inferiore rispetto all’impalcato, tra 1/2 ed 1/3 della larghezza complessiva della pila, figura 26.

Poiché spesso si trovano arcate ribassate agli ordini inferiori, con significative spinte orizzontali dovute al loro peso proprio, è ragionevole ipotizzare che le pile siano dotate di strutture interne d’irrigidimento in corrispondenza delle arcate degli ordini inferiori.

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Sezione-trasversale
Pile – spalle da viadotto

Le pile – spalle (figura 27 a,b) presentano sulle fronti del viadotto una nervatura detta parasta con entrambe le facce a scarpa che si eleva dalla risega di fondazione al parapetto del viadotto.

In tutti i piedritti le regole dell’arte prevedono la costruzione di alcuni strati o cinture di pietra di spessore costante; il motivo di questa tecnica, cui si attribuiva la possibilità di ottenere una regolare ripartizione delle pressioni nella pila (Curioni, 1871), non è completamente chiarito.

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Arcate

Poiché le strutture ad arco resistono essenzialmente per forma, l’arco inteso come struttura esiste solo quando è stato posto in opera l’ultimo suo concio; per questo motivo la sua costruzione viene eseguita su un’armatura di sostegno provvisoria, generalmente in legname di essenza forte, composta da (Corini, 1941):

  • centine, in travi reticolari lignee disposte parallelamente all’asse del ponte
  • travi orizzontali o inclinate, dette filagne, a collegamento delle centine
  • manto o tamburo, composto da una serie di tavole (dossali(, destinate a costruire un impalcato continuo per l’appoggio della muratura
  • sostegno delle centine, costituiti da pali infissi nel terreno, o mensole sporgenti dalle pile e dalle spalle
  • apparecchi di disarmo, posti fra appoggi e centine, impiegati per abbassare gradualmente le centine una volta completata la costruzione della volta.

 
Le travi, di sezione prevalentemente quadrata e lato variabile tra 15 e 40 cm, possono avere lunghezza di oltre 10 m.

Allo scopo di ridurre la quantità di legname necessaria, l’opera di sostegno può essere di larghezza minore dell’arcata, che viene quindi costruita per anelli successivi accostati.

La forma e le dimensioni della centina variano in funzione della luce dell’arco e del carico a cui essa è sottoposta.

La centina a sbalzo (figura 28 a,b) è appoggiata direttamente sulle pile e sulle spalle, mediante mensole incastrate nel paramento delle stesse, oppure su riseghe appositamente ricavate, a differenza della centina fissa che è appoggiata su pali intermedi infissi nel terreno.

La centina a sbalzo è stata usualmente impiegata per i viadotti, mentre solo i ponti di altezza contenuta si prestano all’impiego di centine fisse.

Quest’ultimo sistema permette la disposizione di puntoni, detti contraffissi, vincolati ai sostegni intermedi. Nelle centine a contraffissi isolati (figura 29 a) un solo puntone vincola una zona definita dell’armatura, mentre nelle centine a contraffissi contrapposti (figura 29 c) una stessa zona dell’armatura è vincolata a più puntoni, questo per ridurre il rischio di un crollo dell’armatura per il cedimento di uno dei pali di appoggio. Vincolando i puntoni ad un solo appoggio intermedio si ottiene invece una centina a contraffissi radiali (figura 29 b), in cui le catene sono finalizzate alla riduzione della luce libera dei puntoni.

Tra l’appoggio e la centina sono presenti due cunei, le cui rimozione, completata la volta, consentendo il graduale abbassamento delle centine.

centine-a-sbalzotipi-di-centine-fisse


Una volta posizionata l’armatura provvisoria, la muratura dell’arcata viene realizzata impiegando pietra da taglio, pietra concia, oppure mattoni di laterizio.

Per ora ci fermiamo qui. Prossimamente approfondiremo con la statica dei ponti ad arco in muratura!

Bibliografia: "Le tecniche costruttive" del Dott. Ing. Antonio Brencich - Università degli studi di Genova - Dipartimento di Ingegneria strutturale e geotecnica.

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