Solo nel 2022, in Italia, ci sono state quasi 2,2 milioni di dimissioni. Il tema delle grandi dimissioni è legato a quello di chi ancora resiste e continua a lavorare in azienda, ma facendo il minimo indispensabile, senza stress. Di Quiet quitting si parla già da qualche tempo, ma mai come adesso il fenomeno sta assumendo una portata da tenere d'occhio.

Millennial e Gen Z sono contrari sempre più a vivere in nome della performance, anteponendo a questo primato del lavoro, semplicemente, una vita più serena. Il disimpegno lavorativo e la reperibilità costante comportano una distanza tra ciò che si è professionalmente e ciò che si è nel quotidiano, nel privato. Quello che viene definito come "abbandono silenzioso" esprime più semplicemente la volontà di ridurre i ritmi e di destinare più energie in attività extra-lavorative, per evitare le conseguenze del burnout. A volte, proprio chi ha vissuto lo stress da lavoro decide di abbracciare questa nuova "filosofia". E anche se sarebbe facile dedurre che meno impegno implichi meno interesse per il ruolo, non sempre è cosi.

Il quiet quitting come espressione di un problema culturale

Il quiet quitting moderato, per cosi dire, potrebbe essere un segnale forte per tutte le aziende che esagerano con i carichi di lavoro nei confronti del dipendente anche oltre il monte orario contrattualmente previsto. Oppure, per tutte quelle realtà che dettano condizioni rigide e perdono lavoratori anche dotati di molte competenze trasversali o tecniche, solo perché non accolgono certe "aperture", come la possibilità di svolgere il lavoro in forma ibrida o da remoto.

Inoltre, spesso il fenomeno diventa una naturale conseguenza, prima psicologica e poi fattuale, legata alle attese del lavoratore che vengono tradite da scelte aziendali contrarie alle sue esigenze: nessuna flessibilità, nessun aumento retributivo a dispetto di anni di carriera ed extra-lavoro o una semplice maternità ripagata con un demansionamento, tanto per rimanere su casi pratici e purtroppo diffusi.

E infine, loro, i lavoratori tranquilli indipendentemente dal contesto, che fanno del quiet quitting un mood fisso. Le attività da svolgere in azienda rimangono pur sempre una priorità, ma il tutto deve svolgersi nell'ambito delle ore lavorate, senza reperibilità extra-lavorativa e senza sconfinare in pratiche da super lavoro che spesso comportano sovraccarichi fisici ed emotivi.

La generazione Z si rilassa di più

Sono in particolare i giovani a non voler più scendere a compromessi. Nessuno straordinario in ufficio oltre l'orario lavorativo concordato e poca propensione a proporre idee o investire tempo ed energie in attività impegnative. Il denaro non è più la priorità, ciò che conta è il buon uso del tempo e provare a tutelare il proprio benessere e la propria felicità. Il percorso di carriera in linea con le proprie esigenze, in pratica, conta più della busta paga.

E tu come la pensi? Hai cambiato approccio rispetto al modo in cui svolgi la tua professione in azienda? Lasciaci un commento e torna a trovarci presto sul Magazine.

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